Che cosa succede se è la tradizione a diventare innovazione?
Negli anni ’60 i ragazzi, anche dopo il lavoro in fabbrica, andavano a “mestierare”, a imparare un lavoro artigiano in bottega.
In un decennio di grande fermento post bellico l’immagine andava acquisendo importanza: il mestiere allora diventa un servizio reso all’industria. Gli strumenti del lavoro vengono creati dall’azienda per poter essere utilizzati a casa in autonomia ma l’arte del barbiere, il rito della barba resta in essere.
Anche oggi siamo un periodo di grande transizione, anche se per motivi profondamente diversi: il momento di crisi rilancia un mestiere, come quello del barbiere, che permette di accedere velocemente al mercato e all’economia. Inoltre, da tempo assistiamo alla grande ascesa del valore dell’immagine: viviamo un nuovo egocentrismo, sia per chi eroga il servizio che per chi lo riceve. Ecco allora che apparire diventa fondamentale. Tutto questo dovrebbe rappresentare un valore sociale, ben diverso da quello personale e professionale.
Negli anni ’60 il grande cambiamento sociale ed economico ha portato alla regolamentazione del mestiere, oggi la liberalizzazione permette un maggiore accesso al mestiere e consente di adeguare il lavoro al nuovo assetto sociale (il che si traduce, per esempio, in nuove aperture, nuovi orari, nuove regole, innovazione nell’erogazione del servizio).
L’artigiano, a questo punto, non può permettersi di contare solo e soltanto sulla propria competenza di mestiere. Si deve “acculturare”, esplorare nuove strade. Soddisfare il bisogno dell’utente non è più sufficiente. Bisogna guardare oltre, regalare un piacere a chi entra in Salone. In questo anche l’industria è profondamente cambiata: oggi essa produce oggetti che l’artigiano può assemblare creando un prodotto che possiamo definire di lusso democratico.
Un nuovo domani guarda al passato con sguardo rinnovato per soddisfare pienamente la richiesta ma andando, al contempo, a creare un piacere artigianale di cui c’è nuovamente bisogno.