Il mondo cambia, il mestiere pure. Come mettersi al servizio dei servizi. Una nuova, splendida riflessione di Francesco Cirignotta
No, non è un esercizio di accavallamento concettuale: ‘servire i servizi’ è un’attitudine a soddisfare, l’unione del ‘sapere’ con la qualità del ‘fare’. Comunque la pensiate, non significa mai essere servitori, ma, piuttosto, ‘al servizio di’. Ed è questo, forse, il significato più autentico di mestiere.
Per prima cosa, poniamoci questa domanda: perché un cliente entra in salone e chiede un determinato servizio? Perché ha un bisogno. I bisogni rappresentano, per nostra fortuna, una piattaforma evoluta delle necessità primarie. E quando abbiamo un bisogno, tutti noi desideriamo essere accontentati, soprattutto se riteniamo di dover ricorrere all’ausilio di capacità altrui. Per non dimenticarcelo, noi acconciatori, quando siamo in salone sull’altro lato della barricata, dovremmo sempre rammentarci cosa proviamo da clienti e che cosa ci aspettiamo quando ci affidiamo al servizio degli altri.
Innanzitutto, desideriamo competenza: il sapere unito alla qualità del saper fare, appunto.
Oggi per acquisire competenza l’esperienza non basta più: i clienti hanno sviluppato nuove abitudini di acquisto e di frequentazione del salone. Per soddisfare le diverse esigenze occorre formazione continua, anche nel campo dei nuovi stili di vita e di consumo.
Poi, tutti noi pretendiamo la passione per il mestiere.
Desideriamo che chi ci offre un servizio sia appassionato di quello che fa e ce lo faccia sentire, emozionandoci. Questo si può imparare ai corsi di formazione, ma in fondo in fondo è un’arte che difficilmente si replica dietro insegnamento. Fa parte di quel bagaglio di doti che costruiscono un mestiere e il suo successo. Prendiamo atto che, da quando spazziamo in terra la cucina su richiesta di nostra madre a quando diventiamo affermati professionisti, di fatto rispondiamo sempre alla stessa regola: far bene per soddisfare l’altrui necessità e farlo con passione, quindi senza farlo pesare.
Saper fare dovrebbe essere per ognuno, già di per sé, la vera essenza della soddisfazione. Potremmo asserire che due sono le regole: far bene per sé e farlo bene per gli altri. Proprio come fare sesso. La vita è piacere, crudele se si vuole, ma pur sempre piacere: solo viverla ci mette nelle condizioni di pensarla come una grande industria che soddisfa bisogni e dove ognuno di noi è parte attiva. In un certo senso, ogni cosa che facciamo, è ‘al servizio di’.
Un amico mi ha raccontato di un suo viaggio in Giappone: era seduto a tavola e pranzava. Senza che domandasse nulla, gli arrivò acqua da bere e poi dopo un po’ arrivò altra acqua e poi ancora. Era stupefatto. In realtà, non c’era nulla di cui meravigliarsi. Ho cercato di spiegare al mio amico che il suo punto di vista era legato al fatto che stava mangiando e associava il gesto di portare l’acqua a un ulteriore servizio funzionale al pranzo. La verità è che l’acqua era per l’acqua, un servizio fine a se stesso e tale dovrebbe essere ogni gesto: inserito in un progetto, ma vissuto come se il medesimo fosse il vero progetto.
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